Partiamo dal presupposto che ogni gatto, come ogni uomo, ha il suo carattere e spesso un suo vissuto, non sempre bello.
Alcuni di noi sono più sensibili di altri, considerando il fatto che solitamente noi gatti siamo predatori ma sappiamo bene di poter diventare a nostra volta prede. Quindi siamo molto attenti a quello che ci circonda.
Non a tutti noi piace essere toccati, presi in braccio, vedi Osvaldo e a dire il vero anche io un pochino.
L’essere umano nell’ approcciarci deve tenere conto di tutto questo.
A noi non piacciono sempre le carezze o i baci troppo irruenti e comunque nel tempo possiamo adeguarci un pochino se il nostro umano ci piace davvero tanto.
Osvaldo con l’andare dell’età incomincia anche se con parsimonia ad apprezzare alcune specifiche coccole, sugli occhi. Noi siamo bravissimi a farvi capire cosa ci piace e cosa non ci piace, sta a voi però essere attenti a nostri segnali.
Spesso siamo noi a proporci con un approccio piuttosto che un altro, questo ci dà l’impressione di tenere tutto sotto controllo e ad essere meglio predisposti alle effusioni umane.
Ora vi svelo un segreto.
Vi siete mai chiesti come mai siamo attratti dalle persone che hanno paura di noi?
Perché di solito sono immobili e non ci cercano. Non prendono nessun tipo di iniziativa nei nostri confronti e questo è da noi MOLTO APPREZZATO. Tutto questo ci tranquillizza molto, ci fa sentire tutto sotto controllo, ci avviciniamo noi a loro per dimostrare il nostro apprezzamento, però NON SEMPRE GRADITO.
In linea di massima quando non ci conoscente è sempre meglio fermarsi, fare sentire il vostro odore, se possibile accovacciarsi e mettervi alla nostra altezza e aspettare le nostre mosse, il nostro approccio.
A volte ci avviciniamo solo pochi metri, a volte ci strusciamo sulle vostre gambe o sulle vostre mani. Insomma ognuno di noi a suo modo vi permette di definire la relazione che avrete con noi.
Alcuni di noi amano solo il contatto visivo, con buona pace del loro umano che dovrà farsene una ragione, altri di noi gradiscono le carezze e il contatto fisico più ravvicinato.
Per quelli di noi che non amano il contatto fisico: potrebbe essere nato dal fatto che fin da piccoli non siamo stati abituati o abbiamo passato delle brutte esperienze con l’essere umano, quindi viviamo l’approccio come un’intrusione e quindi niente di piacevole…
Dobbiamo capire che i baci le carezze non sono un linguaggio universale.
Il significato che voi umani date loro, non è detto che venga apprezzato in generale dagli animali e soprattutto da noi gatti, a meno che questo non sia già stato vissuto dalla tenera età.
Ci sono dei punti del nostro corpo che non amiamo vengano toccati, ad esempio il ventre e a volte anche la coda.
Le nostre zone predilette solitamente sono la testa, il collo e a volte la coda. Amiamo le carezze leggere, magari frequenti ma non troppo prolungate.
Quello che preferiamo, ognuno di noi a modo suo, lo lasciamo intendere con dei segnali fisici come ad esempio le fusa o il fatto che ci strusciamo su di voi.
Quando, invece, non vogliamo le coccole lo facciamo capire subito, tirando indietro le orecchie, indietreggiando, sbattendo la coda in maniera nervosa, guardandovi diritto negli occhi o guardandoci in giro cercando una via di fuga. Qualche umano si meraviglia che improvvisamente, durante le coccole, mordiamo o graffiamo senza motivo. Vogliamo dirlo che i segnali li mandiamo ma siete voi che non ne tenete conto???!!! :o)))
Comunque ognuno di noi ha una soglia di apprezzamento coccole che varia in base al carattere ma anche in base alla giornata. Anche noi ci possiamo svegliare con la zampa sbagliata…!!!
Quando arrivano questi segnali il rischio che si scateni l’infermo per te umano è molto vicino, ti stiamo dicendo, ho gradito adesso basta!!
Il nostro umano o in generale chi si approccia a noi deve capire che insistendo potremmo reagire male con morsi o graffi rischiando di incrinare nel tempo il rapporto di fiducia reciproco.
Come vi ho già anticipato noi a casa siamo in 3, ognuno di noi con il proprio carattere e il proprio vissuto.
Io sono un gatto mediamente coccolone, diciamo che sono io a decidere quando voglio essere toccato e coccolato, Osvaldo invece arriva dalla strada e ha imparato il primo contatto umano in gattile, ha fatto di necessità virtù, non ama essere toccato, né preso in braccio, molto probabilmente non è stato abituato fin da piccolo. Con la mamma ha instaurato un rapporto di dipendenza sin da quando viveva in rifugio, poi da quando è venuto a vivere con noi non la perde mai di vista. Se lei lo chiama lui arriva subito, se lei si alza lui la segue, insomma un CANGATTO.
Ah dimenticavo…. è gelosissimo di lei ed è affetto dalla sindrome dell’abbandono, io almeno la chiamo così. Appena mamma esce o non è alla sua portata visiva scatta un pianto a dirotto… un MAUUU straziante.
Se lei chiama uno di noi o ci fa le coccole, lui arriva come un fulmine a rompere le scatole MA c’é un grande “MA”: nonostante tutto poi non vuole le coccole né essere preso in braccio!
Una bella testolina complicata…
Arriviamo a Mimmy, gatta super coccolona, ama stare volentieri in braccio. Adora le coccole, essere baciata, ama baciare, fare la pastina sulla mamma ed il papà… Insomma un atteggiamento al limite dell’imbarazzante per noi gatti.
Anche lei è stata adottata in un gattile, dove la sua padrona non avendo più la possibilità di tenerla, l’aveva affidata al personale volontario. Dopo un anno ha acconsentito al trasferimento di proprietà al gattile, questo le ha permsso di essere adottata. Essendo Mimmy una gatta provvista di microchip quindi di proprietà, se la sua umana non avesse dato il via libera per l’adozione alla struttura che l’ospitava, non avrebbe potuto essere adottata.
Sapete questo purtroppo accade più spesso di quanto pensiamo, se è vero che è importante microchippare anche noi gatti, per tutti i motivi che ormai conosciamo, è anche vero che se un proprietario di un animale non dà il benestare per l’adozione, lo condanna a vivere per sempre nel rifugio in cui è stato portato.
Torniamo a Mimmy, durante la notte sveglia la mamma battendo con la zampina sulla spalla per potersi infilare sotto le coperte e soprattutto infilando il suo muso sotto al mento facendo delle fusa molto rumorose.
Osvaldo a quel punto mosso da gelosia di forza, richiede di dormire anche lui sotto le coperte.
Ogni tanto penso che la mamma sia una santa.
Ora non vorrei scatenare il solito inferno di commenti più o meno favorevoli al fatto che un animale dormi o meno con il suo umano. Parto dal presupposto che a casa sua ognuno ha il diritto di fare e agire come meglio crede, senza dover subire dei giudizi non richiesti. Vi supplico non entriamo in questo inutile tunnel.
Vorrei parlarvi di Cesare.
Cesare era un gatto di strada, la mamma lo ha scorto la prima volta che sbirciava attraverso la porta finestra che dà sul salotto. Mamma ha così deciso di lasciargli a disposizione acqua e cibo.
Ci sono voluti tanti, tanti mesi prima che Cesare, dopo mangiato, si fermasse a guardarci attraverso il vetro.
Tutto questo è coinciso con un suo improvviso deperimento fisico, allora la mamma, preoccupata, ha deciso a suo rischio e pericolo di catturarlo e portarlo dal veterinario. Ricordiamoci sempre che lei non aveva nessuna esperienza e non conosceva nessuno che potesse aiutarla o darle qualche consiglio.
Dal veterinario > sentenza: il gatto è affetto da Fiv paragonabile all’AIDS dell’essere umano.
Non è una malattia trasmissibile all’essere umano, i soggetti sono tendenzialmente immunodepressi, quindi più soggetti a qualsiasi tipo di patologia.
Il veterinario esordisce con: “Al gatto sono rimasti pochi mesi di vita”.
La mamma che si fida molto del suo istinto specie se si tratta di noi gatti (finora ha sempre avuto ragione, speriamo duri), decide che non le sta bene questa sentenza di morte.
Lo fa comunque sterilizzare per tutelare altri gatti che potessero venire in contatto con lui magari durante una lotta. Noi gatti una volta sterilizzati tendiamo a tranquillizzarci.
Anche lui passa sotto la scure delle cure rivitalizzanti di mamma che nel tempo di un mese lo fa letteralmente resuscitare.
Lei era l’unica a poterlo avvicinare, vivendo all’esterno con la sua malattia e le sue fragilità, la mamma giornalmente, e non esagero, lo teneva monitorato.
Appena sbucava una qualsivoglia infezione, agli occhi, una ferita infetta etc. lei partiva, sempre sotto la supervisione del veterinario, con le cure adeguate, sapendo già che anche una piccola infezione, con la Fiv, poteva portare a dei risvolti ben più gravi.
Tornado al lato del carattere di Cesare: da animale sempre vissuto in esterno e senza l’aiuto dell’essere umano, si procurava il cibo da solo e, partendo da un rapporto di diffidenza nei confronti della mamma, è arrivato con lei ad una completa fiducia. Si lasciava curare, per esempio mettere le gocce di collirio negli occhi, pulire le ferite e non sto a raccontarvi tutto il resto, sempre senza battere ciglio. Al massimo… brontolava!
Non ha mai e dico mai alzato “un’unghia” su di lei neanche quando per curarlo capitava che gli facesse male.
Noi tre a casa non siamo così bravi, dobbiamo ammetterlo.
Tutto questo per sottolineare che è vero che noi gatti abbiamo il nostro carattere, il nostro vissuto per il quale il nostro approccio con l’essere umano varia, ma è anche vero che siamo capaci di esprimere la nostra gratitudine in maniera molto efficace.
Per la cronaca Cesare è vissuto 10 anni alla faccia di chi lo voleva morto da lì a qualche mese.
Alla mamma dobbiamo dare il merito, parliamo piano sennò si monta la testa, di avere provveduto a lui in tutti i modi, non solo dal punto di vista sanitario ma anche facendo costruire al papà una casetta coibentata per l’inverno posizionata proprio davanti alla porta finestra che le permetteva di tenerlo monitorato. Voleva che il suo bambino peloso si sentisse facente parte della famiglia anche se non poteva vivere con noi, visto che la sua malattia era noi infettiva.
Ha lavorato tanto sul loro rapporto e quando si è resa conto che per Cesare potevano arrivare tempi bui, ha iniziato ad abituarlo a dormire in garage. E’ stata una cosa molto difficile da fargli digerire abituato com’era alla vita all’aperto, trovarsi poi in un luogo chiuso da dove non poteva uscire autonomamente.
Purtroppo è arrivato il momento in cui la malattia ha preso il sopravvento, nonostante tutti gli sforzi di mamma.
Tutte le sere veniva portato in garage dove gli era stato allestito un suo angolino, una luce di cortesia per non farlo stare al buio, acqua, crocchette e lettiera.
Il fatto che accettasse di buon grado di dormire la notte in garage, permetteva alla mamma di somministragli le cure di cui necessitava, la mattina e la sera.
Alla mattina alle 6 si alzava per andare a controllare come stava e liberarlo. Non voleva che si sentisse prigioniero.
Nel momento in cui Cesare non si nutriva più ma si idratava solamente con l’acqua, la mamma si è resa conto che piano piano si stava spegnendo e con il benestare del veterinario, a malincuore accettò l’eutanasia.
Una delle decisioni più difficili che la mamma abbia mai dovuto prendere in vita sua.
Anche per questo argomento non voglio entrare nel circolo inutile dei commenti negativi e dei giudizi. Nessuno ha amato Cesare come la mamma. E’ stato per lei la cosa più straziante che abbia mai dovuto vivere.
Il giorno prima di portarlo dal veterinario in lacrime la mamma mi ha sussurrato nell’orecchio che decidere della morte di una creatura che hai amato davvero fino in fondo e con la quale hai instaurato un rapporto così intimo, speciale quasi perfetto è la cosa più difficile al mondo.
Ancora adesso quando parla di lui si emoziona e nonostante so benissimo quanto ci ami mi rendo conto che lui è stato davvero il suo grande amore. Quell’amore speciale che capita solo a chi sa amare incondizionatamente un essere vivente senza porsi limiti dovuti alla malattia, all’età o altro.
Un amore puro a tutto tondo di cui anche noi possiamo godere.
A chi le chiede: “ma chi te lo ha fatto fare?”, lei risponde con un sorriso che ogni creatura che ha amato e curato le ha regalato molto di più di quanto abbia dato lei .